#07. Vecchia legge non fa buon brodo
Per la fotografia di Falcone e Borsellino di Tony Gentile ancora nessuna tutela.
"È nato prima l'uovo o la gallina?" disse lui.
"È un cul de sac e non se ne esce" dissi io.
Volevo fargli un sacco di domande, ma alla fine niente perché è un cul de sac e dentro ci sono l'uovo e la gallina.
Stavamo parlando della legge italiana sul diritto d'autore applicata al procedimento fotografico, che è una legge sbagliata e lo sappiamo tutti. Il problema si è palesato in modo macroscopico nelle sentenze del Tribunale di Roma relative alla causa civile tra Tony Gentile e la RAI.
Parlando con Massimo Stefanutti, l'avvocato che rappresenta e difende Tony Gentile in questa causa, mi sono accorta che, a seguire il dettato di questa legge, i miei pensieri si confondono come quelli di una novellina. La legge italiana sul diritto d'autore applicata alla fotografia è un problema giuridico di matrice culturale. Andrebbe sostituita con una legge che tuteli davvero i fotografi e le fotografie, una legge che ancora non c'è, sganciata dalla L. 633/1941. I casi che arrivano in tribunale sono tantissimi, conferma Stefanutti. Capita talvolta che qualche fotografo querelante riesca a vincere una causa, ma il problema a monte non si risolve con le numerose, e spesso incredibili, elaborazioni giurisprudenziali. Il punto, per l'avvocato Stefanutti, resta sempre lo stesso: è impossibile tutelare i fotografi e la fotografia continuando a discriminare tra fotografia documentale, semplice e creativa. Il prelievo fotografico è un atto creativo. Ogni fotografia è di per sé creativa in quanto “crea” qualcosa che prima non esisteva. Ogni fotografia è pertanto un'opera dell'ingegno e ogni fotografia appartiene al fotografo che l'ha eseguita. Punto.
Culturalmente, gli aspetti meccanici legati al procedimento fotografico continuano a condizionarne negativamente la tutela giuridica. La sentenza di primo grado nella causa Gentile-Rai aveva già evidenziato l'arretratezza e l'inadeguatezza del dettato legislativo. Mi autocito:
In base alle argomentazioni della sentenza, perché una fotografia possa essere considerata opera dell’ingegno occorre che se ne possano valutare caratteristiche che sembrano appartenere tutte o quasi all’ambito della fotografia d’arte o della fotografia applicata. Il reportage sembra pregiudizialmente rientrare nella disciplina che regola le cosiddette semplici fotografie.
(Tony Gentile e la Rai: non una semplice causa civile, I taccuini di Perec, 2 febbraio 2020.)
Nella sentenza di secondo grado, la Corte d'Appello di Roma ha scritto, modificando in parte la sentenza di primo grado, che il requisito della creatività necessario all'apprestamento della tutela deve essere identificato:
non tanto nel valore artistico della fotografia, bensì nell'immagine fotografica avente un proprio contenuto espressivo e [che] presenti tratti individuali marcati riflettendo la personale visione della realtà del suo autore.
Apparentemente il ragionamento non fa una piega, infatti l'immagine di Massimo Sestini, intitolata Mare nostrum, che fotografa la realtà connotandola secondo una visione fortemente autoriale e personale, è stata oggetto di tutela quale opera d'ingegno nella causa civile con il vicesindaco di Trieste. Benché sia stata premiata al World Press Photo nel 2015, la fotografia di Sestini, come giustamente ha rimarcato Stefanutti rispondendo ad un mio dubbio (ve l'ho detto che questa legge mi ingarbuglia i pensieri), non è propriamente una fotografia di reportage e il Tribunale di Ancona ha potuto esprimersi a favore del fotografo nella causa sopra citata.
Per tornare alla causa Gentile-Rai, sulla "personale visione della realtà" sembra accordarsi tutto il testo della sentenza di secondo grado. Affinché tale visione possa essere apprezzata in un'aula di tribunale, scrive la Corte d'Appello, occorre che si manifesti in una forma singolare e particolare. Il giudice di prime cure ha riconosciuto come la fotografia in oggetto risulti particolarmente toccante, ma ha attribuito tale caratteristica all'eccezionalità del soggetto. A prescindere dal soggetto, né il Tribunale né la Corte d'Appello hanno potuto rinvenire nella fotografia di Gentile una apprezzabile "valenza estetica".
Non lasciatevi confondere. Ammettere che la fotografia di Gentile sia un’immagine "toccante" significa riconoscere la sua apprezzabile valenza estetica: è un'immagine che, come si legge nell'atto di citazione d'appello con il quale Stefanutti ha impugnato la sentenza di secondo grado, parla di Stato, di legalità e di serena fiducia nella giustizia indipendentemente e a prescindere dagli eventi che si sono verificati nei giorni successivi. Attribuire la valenza estetica di questa immagine all'eccezionalità del soggetto significa condannarsi a discriminare, entro ciascuna fotografia di reportage, tra soggetti eccezionali e soggetti comuni. Che altri fotografi avrebbero saputo o potuto fissare la stessa immagine nella stessa situazione, come si afferma nella sentenza, resta da dimostrare: era forse Gentile l'unico fotografo presente in quella stanza, il 27 marzo del 1992?
In base alla tripartizione introdotta dalla L. 633/1941 - una "sublime invenzione giuridica", come la definisce Stefanutti - la fotografia di reportage non è, e non può essere, "fotografia creativa"; vi è in essa un ancoraggio al dato reale da cui non si può prescindere come crede di poter fare il giudice di prime cure. Ma una fotografia ritenuta "semplice" in base alla legge italiana sul diritto d'autore non è per conseguenza una fotografia priva di valenze estetiche e non può pregiudizialmente essere esclusa dalle opere fotografiche o opere d'ingegno.
Non si può dire che i fotoreporter italiani non abbiano una personale visione della realtà: ce l'hanno, grazie al cielo. Talvolta scelgono di occultarla per quanto possibile, talvolta la esprimono loro malgrado. Talvolta i fotoreporter compiono scelte estetiche, altre volte sono scelte etiche. Non sempre queste scelte si manifestano esternamente attraverso forme particolari e singolari, quasi mai è possibile valutarne l'opera attraverso lo scatto singolo e decontestualizzato, ma pensare che a vent'anni dallo scatto sia possibile privarli del frutto del loro lavoro è pura follia, un anacronismo nato in tempi nei quali i crediti fotografici erano semplicemente un optional.
Rigettate dal Tribunale e dalla Corte d'Appello di Roma le richieste di Tony Gentile, siamo al ricorso per Cassazione. Le motivazioni del ricorso risiedono nei principi giuridici richiamati dalle sentenze di primo e di secondo grado, ritenuti, dai difensori di Gentile, strumenti errati e inidonei per la decisione nel merito della fotografia di cui è causa. Alcuni di questi principi confondono il concetto di creatività in fotografia con il concetto di artisticità applicabile ad altre tipologie di opere creative protette dalla L. 633/1941. Scrive Stefanutti nel testo del ricorso:
La maggior parte delle sentenze individuano nell’aggettivo “artistico” e nella valenza di “opera d’arte” il topos della tutela: vi è evidente errore concettuale (e giuridico) in quanto nessuna norma della L. 633/1941 (con due eccezioni che non riguardano la fotografia) pone questo requisito come elemento normativo. (Ricorso per Cassazione vs. sent. 7672/2021 CDA Roma, 3 gennaio 2022)
Dal testo del ricorso emerge come le sentenze italiane continuino, salvo rare eccezioni (la sentenza del Tribunale di Catania del 27.8.2001 individua nella pre-visualizzazione uno degli elementi certi della creatività), a fallire nell'identificare un concetto di creatività che sia applicabile a tutti gli oggetti fotografici indipendentemente dalla loro forma e utilizzo. Se, come asserito nella sentenza di Cassazione Civile Sez. I, 28.11.2011 nr. 25173, richiamata dal Tribunale e dalla Corte d'Appello di Roma in questa causa, un'opera dell'ingegno riceve protezione
a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore,
tale atto creativo in fotografia non può che rinvenirsi nel prelievo, nello sguardo del fotografo che, come scrive Stefanutti nel suo ricorso, "tira fuori" dalla realtà fenomenica non semplicemente “immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale” (ex art. 87 L. 633/1941), ma ciò che tale porzione di realtà fenomenica esprime e dice.
Tutta la sentenza della Corte d'Appello di Roma si basa dunque su un errore cognitivo, non riconosce nell'atto creativo minimo, da essa stessa richiamato, il concetto giuridico generico applicabile a tutte le opere dell'ingegno protette dalla legge italiana sul diritto d'autore.
Ne conseguono scivoloni vari. La Corte d'Appello di Roma non individua uno specifico concetto di creatività minima giuridicamente applicabile alla fotografia quale "oggetto" considerato dal diritto d'autore e citando una sentenza del Tribunale di Milano del 10.10.2003, reintroduce e applica nuovamente il concetto di opera d'arte alle opere fotografiche meritevoli di protezione quali opere dell'ingegno. Lo sguardo del fotografo, la sua intelligenza, capacità e sensibilità, tornano a confondersi con una "particolare creatività" o "impronta personale" non altrimenti specificata.
Risulta evidente come da simili premesse non possa che derivare una mancata comprensione della creatività fotografica intesa come
un percorso dell’ingegno umano, un approfondirsi della visione, un progressivo ampliamento della percezione, che, alla fine, produce un risultato creativo. (Ricorso per Cassazione vs. sent. 7672/2021 CDA Roma, 3 gennaio 2022)
E quindi benvenuti nel 1940.
L'avvocato Stefanutti aveva promesso di spiegarmi il punto da cui partono le sentenze e dove arrivano. Dopo una breve telefonata che ha reso superflua ogni domanda mi restano ancora un paio di curiosità.
Partenza: caro avvocato, ci parli di Cavour?
È tutta colpa sua (ma non è vero…): quando manca una norma giuridica cui riferirsi, i tribunali fanno pasticci, applicando regole pensate per altri casi, senza rendersi conto che spesso è meglio non decidere che decidere. La sentenza della Corte d’Appello di Parigi del 1862 nella causa promossa dallo studio fotografico parigino Mayer e Pierson contro i concorrenti Thiebault & Betbéder (avente ad oggetto una foto del Conte citato, fotografato dai primi e contraffatto dai secondi) è istruttiva di questo procedere.
Causa iniziata nel 1856 (sono passati solo 17 anni dalla sua rivelazione ma la fotografia è già affare e mercato milionari) e dopo una sconfitta in primo grado (tutti contro a considerare la fotografia come un’arte, sia Ingres che altri, ma non Delacroix), la Corte parigina si appella alla Legge (rivoluzionaria) del luglio 1793 per affermare l’applicabilità del diritto d’autore alla fotografia (ma non a tutte le fotografie…).
Così se la cava la sentenza: le fotografie possono essere “dessins photographiques” e, in effetti, tali disegni, ottenuti con l’aiuto della camera scura e sotto l’influenza della luce, possono, in certa misura e per un certo grado, essere il prodotto del pensiero, dello spirito, del genio e dell’intelligenza dell’operatore (…) che danno all’opera del fotografo l’impronta della sua personalità (traduzione letterale).
Da qui, il diluvio…(e continua a piovere).
Arrivo: come sarà la futura legge sul diritto d'autore in fotografia?
Le vie della politica, delle lobby e del diritto sono infinite.