#19. Letizia Battaglia sono io
La retrospettiva a Palazzo Ducale di Genova. A cura di Paolo Falcone.
Era un giorno felice. Ho pianto solo nell’ultima sala. Ho condiviso con Letizia Battaglia il nodo in gola per la morte di Giovanni Falcone, della sua scorta, per il dolore di Rosaria Schifani. Ci sarebbe stata un’altra ragione per piangere, nell’ultima sala del sottoporticato di Palazzo Ducale di Genova. Qui, per la prima volta dal 2020, i curatori della mostra Letizia Battaglia sono io hanno esposto tre fotografie tratte dalla campagna pubblicitaria di Lamborghini intitolata With Italy for Italy alla quale Battaglia, su invito, accettò di collaborare. Sarebbe stato un pianto metaforico, ironico e sarcastico. Nel 2020, quando scoppiò la polemica, preferii non occuparmene, sentii che sarebbe stato giusto tacere; la melma dei social ti si appiccica addosso con insidiosa facilità. Oggi, tuttavia, tacere non si può perché se tre anni fa fu la stessa Letizia Battaglia a preferire il silenzio, oggi sono i curatori della mostra a chiedere di riaprire il dibattito. Le tre fotografie di grande formato della campagna Lamborghini chiudono il cerchio che si apre con la frase che si legge all’ingresso e di cui il titolo della mostra è sintesi e parafrasi. Una frase pronunciata da Letizia Battaglia in una vecchia intervista, spiega Paolo Falcone. In essa c’è tutto il senso dell’immenso lavoro svolto da questa grandissima interprete dell’Italia “fin de siècle”, in essa sono contenute parole che illuminano con la limpida, cristallina luce della verità ciò che sentiamo e che sappiamo a proposito di Letizia Battaglia, di una personalità che fu capace di dare forma al proprio bisogno di espressione e di azione. Vedono bene, nella loro breve introduzione al catalogo edito da Contrasto, Giuseppe Costa e Serena Bertolucci e lo vediamo anche noi nella luce trasparente delle lightboxes che scandiscono con ossessionante regolarità lo spazio profondo del sottoporticato: quella di Letizia Battaglia è una narrazione che va oltre la forma e le forme e che proprio per questo è di tutti e di ognuno. Letizia va all’essenziale, al cuore delle cose. Credo sia per la peculiarità del suo lavoro che le lightboxes mi appaiono, per la prima volta nella storia delle mie visite alle mostre di fotografia, non un artificio innaturale ma un metodo espositivo adeguato alla vera materia di cui sono fatte queste immagini. Né carta né inchiostro né sali d’argento. Stupido, permettetemi di dirlo, chi nel 2020 disse che Letizia Battaglia avrebbe fatto bene a rifiutare l’incarico di Lamborghini, incapace di vedere e di capire, abituato a quanto pare ad aprire bocca per dar fiato, a muovere i polpastrelli a caso sulla tastiera del computer. Letizia Battaglia accettò e fotografò le sue bambine, fotografò se stessa, la propria e la loro innocenza. Bambine esposte sì, all’indifferenza. Chi si accorge in queste foto della loro presenza? Solo lei, Letizia. Oggi noi. Lì, per strada, il bolide giallo rapisce l’attenzione dei passanti, due mondi separati da un muro trasparente, l’equivalente del famoso soffitto di cristallo. A Palermo, inaspettato, inaudito è il mare, come scrive Giosuè Calaciura nel testo che chiude il catalogo, non il bolide giallo perfettamente integrato tra le grandezze e le bassezze palermitane. Inaudito è il richiamo del mare che guardiamo e ascoltiamo, sedute sulla panchina, soglia di legno dove qualcuno ha scritto spiagetta. Una g sola. Inaudito è il mare e quel volto amico di chi spacca consuetudini, perché lo sa fare, perché lo ha fatto tutta la vita. Hey, what did you expect? Qualcuno nel 2020 criticò l’aspetto estetico delle fotografie di Battaglia, giudicando esteticamente apprezzabile quell’insieme di banalità e cliché visivi prodotto nell’ambito della campagna e pubblicato da Skira. C’è ancora del lavoro da fare sul concetto di estetica, c’è lo sguardo di tutto un paese da ripulire e rinnovare e Letizia Battaglia, a 86 anni, conosceva la strada giusta. Grazie Letizia e, avendo letto il confuso articolo di Helga Marsala su Artribune, grazie Lamborghini.
Segnalo, tra le opere e i documenti in mostra:
Il cortometraggio Vatinne girato nell’ospedale psichiatrico di Palermo e prodotto dal Laboratorio d’IF, l’agenzia fondata da Letizia Battaglia e Franco Zecchin.
Il film-intervista a Letizia, girato da Franco Maresco nel 2016.
Gli Invincibili, le dodici composizioni realizzate da Battaglia tra il 2013 e il 2014, esposte e pubblicate in catalogo per la prima volta nella loro quasi totalità.
I volumi delle Edizioni della battaglia esposti in mostra insieme alle meravigliose copertine di Grandevù. Grandezze e bassezze della Città di Palermo, il mensile di cultura e politica fondato e curato da Battaglia e Zecchin tra il 1986 e il 1990, dove grafica e fotografia, colore e bianco e nero, competono tra irriverenza e raffinatezza estetica.