#02. Fotografia e femminismo nell'Italia degli anni Settanta
Gli atti del convegno, curati da Cristina Casero (Postmedia, 2021).
Con Fotografia e femminismo nell’Italia degli anni Settanta, Postmedia pubblica gli atti di un convegno che si è tenuto (necessariamente) on line nel 2020. Curato da Cristina Casero e organizzato dal Museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo, il convegno ha visto la partecipazione di storiche e critiche dell’arte e della fotografia, filosofe, artiste e fotografe che al neofemminismo degli anni Settanta hanno contribuito direttamente o al quale hanno soltanto guardato, da prospettive e punti di vista differenti. La presentazione degli atti del convegno, che si è tenuta con la partecipazione di Raffaella Perna e Cristina Casero all’Università di Catania nel novembre del 2021, ha offerto due chiavi di lettura per questa raccolta collettanea di interventi storico-critici: lo speech di Giancarlo Felice, ricercatore dell’Università di Catania, che all’inizio della presentazione faceva notare agli astanti il carattere quasi preparatorio dei diversi interventi, tutti caratterizzati da una certa brevità, e quel richiamo al metodo, certamente della ricerca ma anche della pratica fotografica, cui Raffaella Perna ha accennato verso la fine della presentazione.
Il Mufoco, con le sue collezioni e grazie alla competenza delle funzionarie e delle studiose che si sono succedute alla sua guida e gestione, ha permesso di gettare uno sguardo a campione sulla realtà della presenza femminile nella produzione artistica e fotografica italiana. Da questa presa di visione usciamo confortati, con l’immagine di una curva che disegna una crescita lenta seguita poi da un deciso cambio di passo, all’altezza degli anni Settanta, e da un allargamento della presenza femminile sui diversi palcoscenici della fotografia italiana negli anni Novanta. Ne usciamo confortati, ma per un attimo soltanto, perché la prospettiva alla quale aprono gli interventi delle studiose che hanno partecipato al convegno, e che negli atti seguono il testo di apertura di Gabriella Guerci, direttrice di produzione del Mufoco, è tutt’altro che pacificante e consolatoria. Per comprendere davvero ciò che sembra sottendere all’impegno storico, critico e pratico delle studiose e delle artiste che hanno partecipato al convegno dobbiamo fare un salto indietro di circa vent’anni e recuperare gli atti di un convegno precedente1 con il quale, a maglie molto larghe, la cultura fotografica italiana iniziava a sondare il terreno in uno spazio di ricerca che proprio in quel momento, alla fine degli anni Novanta, si presentava con urgenza agli sguardi e agli approfondimenti. Era la fotografia stessa a reclamare attenzione, quella fatta dalle donne che iniziava a mostrarsi con una presenza se non ancora equivalente, in percentuali e termini numerici, quanto meno massiccia e non più trascurabile se confrontata con la presenza maschile.
Come sempre, i percorsi pionieristici da parte di chi studia fotografia in Italia necessitano inizialmente di uno sguardo oltreoceano. Alla fine degli anni Novanta, Nicoletta Leonardi guardava all’ambiente fertile di studi critici e di pratiche artistiche che oggi riuniamo sotto l’etichetta in parte fuorviante di postmodernismo. Nella cultura anglo-americana che si proponeva il superamento del modernismo nella storia e nella critica d’arte, Leonardi rintracciava quel metodo che il femminismo, con il suo sguardo altro, aveva introdotto nella pratica e nello studio della fotografia, lasciando già emergere, nelle trame del suo discorso, quella sorta di alterità che accomuna la pratica fotografica e la critica femminista. Rientra in quest’ordine ideale di ricerca, tra gli interventi del convegno del 2020, un testo come quello di Federica Muzzarelli che introduce al lavoro fotografico di due autrici le quali, pur restando esterne, in un ordine spaziale e temporale, rispetto all’ambito storico che il convegno tende a circoscrivere, si rivelano portatrici di un femminismo implicito e potenziale, capace di oltrepassare il problema dell’identità femminile. Il femminismo implicito di Lady Clementina Hawarden e di Matika Wilbur getta una luce diversa sulla pratica fotografica di autrici come Ketty La Rocca, sul lavoro della quale è intervenuta Elena di Raddo, e come Lisetta Carmi, di cui scrive Lara Conte; pratica nella quale torna potente quella che Francesca Pasini nel convegno di vent’anni fa definiva come "la radicale invenzione del femminismo degli anni Settanta" ovverosia "l’aspetto relazionale del pensiero e dell’agire".
Inizia a chiarirsi allora quella visione che Cristina Casero traccia con il suo intervento al convegno e con la sua presentazione degli atti all’Università di Catania, cioè il suo pensare all’incontro tra il neofemminismo degli anni Settanta e la pratica fotografica come ad un momento fondativo che richiede ancora grande impegno, in termini di studio e di approfondimento.
Gli anni della contestazione in Italia furono anni di grande fermento per il mondo della fotografia, da una parte perché, affiancando la protesta, le nuove generazioni di fotografi e fotografe svolsero un ruolo di primo piano facendosi portatrici delle rivendicazioni della stessa, dall’altro perché furono anni nei quali si fece profonda la consapevolezza della centralità e dell’importanza delle immagini nella lotta per il cambiamento.
In questo contesto, la fotografia quale strumento non ancora pienamente assimilato, soprattutto in Italia, nelle strutture culturali profonde della società patriarcale, ha rappresentato per il movimento femminista e per le donne impegnate socialmente e politicamente nella contestazione, la via per provare a ridisegnare la realtà e l’universo femminile attraverso una creatività altra. Fondamentale nella rimessa in gioco dell’esperienza femminile è stata l’azione fotografica e critica del rispecchiamento, ma non meno determinante si faceva quel momento dell’indagine e della testimonianza che scavava negli spazi esistenziali e che penetrava quella quotidianità all’interno della quale le donne, ieri come oggi, “non possono e non devono più riconoscersi”, come scrive Casero ricordando Linda Nochlin.
Come riconosceva già nel 2001 Nicoletta Leonardi, diventa essenziale oggi guardarsi dall’impiego acritico delle categorie tradizionali della storia dell’arte e di una metodologia storico-critica fondata sull’integrazione, impiego che riporterebbe la pratica fotografica femminista all’interno di quelle stesse strutture rispetto alle quali si riconosceva altra e differente. Si inserisce a questo livello di indagine teorica e metodologica l’intervento di Linda Bertelli che getta le basi per l’elaborazione di una "estetica femminista della vita quotidiana" e per la creazione di nuove categorie attraverso le quali rileggere le esperienze della fotografia femminista che emergono via via grazie al lavoro di indagine storica. Raffaella Perna, con il suo intervento, illustra due momenti esemplari nel novero di queste esperienze: i libri fotografici Donne Immagini di Marcella Campagnano e Riprendiamoci la vita di Paola Agosti, Silvia Bordini, Rosalba Spagnoletti e Annalisa Usai. Due libri accomunati dal carattere collettivo e relazionale che si manifesta sul versante della pratica fotografica per quanto riguarda il libro di Campagnano, e sul piano della comunicazione del movimento e dell’autoriflessione sul gruppo di lavoro nel caso di Riprendiamoci la vita. Lucia Miodini ci introduce al lavoro di Carla Cerati, ugualmente centrale per quanto riguarda l’autoanalisi, il rispecchiamento e l’indagine sul quotidiano. E a questa stessa estetica del quotidiano Laura Iamurri riconduce il libro alfabeta di Cloti Ricciardi di cui la storica dell’arte ricostruisce, con un lavoro di scavo archivistico, genesi ed elaborazione.
Fotografia e femminismo si chiude con una seconda sezione, introdotta da Giovanna Calvenzi, che raccoglie gli scritti delle fotografe e delle artiste che hanno partecipato al convegno testimoniando la propria esperienza e partecipazione diretta all’elaborazione di una scrittura femminile anche attraverso la sperimentazione e la pratica fotografica negli anni cruciali del neofemminismo italiano: Paola Agosti, Marina Ballo Charmet, Liliana Barchiesi, Marcella Campagnano, Silvia Lelli, Marzia Malli, Paola Mattioli, Livia Sismondi. A questi scritti si uniscono le testimonianze di fotografe più giovani che hanno raccolto quel lascito e che ancora lo elaborano mantenendolo vivo: Isabella Balena, Paola Di Bello, Bruna Ginammi, Donata Pizzi, Agnese Purgatorio.
L’apparato iconografico a corredo del volume consente e agevola il riconoscimento della effettiva qualità della ricerca fotografica svolta dalle donne che implicitamente o esplicitamente hanno contribuito e tuttora contribuiscono all’elaborazione di una scrittura e di un pensiero critico al femminile. Infine, le note ai testi che compongono la prima sezione del volume, quella che raccoglie i nove interventi qui brevemente richiamati (li elenco nuovamente: Gabriella Guerci, Cristina Casero, Federica Muzzarelli, Linda Bertelli, Raffaella Perna, Lucia Miodini, Laura Iamurri, Lara Conte, Elena Di Raddo) rappresentano, per chi volesse approfondire le proprie conoscenze sul tema, un riferimento bibliografico indispensabile e prezioso. Chi avesse perso il lavoro svolto da questo gruppo di studiose, lo recuperi: è una tappa importante di un percorso storico, critico e metodologico che ci auguriamo non venga interrotto.
Leonardi, Nicoletta, (a cura di). L’altra metà dello sguardo. Il contributo delle donne alla storia della fotografia. Agorà Editrice, 2001.